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Neuroscienze, Economia e Finanza

2022-02-02 09:22

Ruggero Mancini

Neuroscienze, neuroscienza, economia, finanza,

Neuroscienze, Economia e Finanza

Le neuroscienze e le scienze cognitive hanno fornito un’immagine psico-biologica di come ragionano e interagiscono gli esseri umani.

 

 

 

mPFC” E “TPJ” NEL COMPORTAMENTO STRATEGICO ​

Le neuroscienze e le scienze cognitive hanno fornito un’immagine psico-biologica di come ragionano e interagiscono gli esseri umani.

 

Una rete cerebrale particolare, incentrata sulla corteccia mediale prefrontale, gioca un ruolo particolare nella cognizione sociale (e non necessariamente nella cognizione “in generale”) e nella sofisticatezza del ragionamento strategico.

 

Quest’area cerebrale potrebbe essere specializzata nel compiere inferenze sugli altri, mentre questi sono impegnati a compierne su di noi.

 

E' una delle scoperte più interessanti delle neuroscienze cognitive: “pensare agli altri” è una capacità specifica, parzialmente differenziabile da molte altre attività “cognitive” come la memoria, il linguaggio e il ragionamento logico.

 

Esiste una rete specifica di aree cerebrali coinvolta nella cognizione sociale. Questa rete è incentrata principalmente sulla corteccia mediale prefrontale (in inglese, “medial pre-frontal cortex”, o “mPFC), e sulla giunzione temporo-parietale (temporo parietal junction o “TPJ”, per una meta analisi vedi Van Overwalle, 2009).

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Studi di risonanza magnetica funzionale hanno infatti mostrato che questa rete gioca un ruolo cruciale nell’attribuire intenzioni ad altri agenti, inoltre, l’idea che la capacità di attribuire intenzioni agli altri sia differenziabile da altre capacità cognitive è supportata dall’osservazione di patologie, quali la sindrome di Asperger, in cui le capacità di ragionamento, linguaggio, e memoria sono spesso intatte, mentre la capacità di considerare gli stati mentali altrui è fortemente compromessa (Baron-Cohen, 1997).

 

La sua specificità consiste in un forte legame tra la capacità di attribuire intenzioni agli altri e quella di attribuire loro credenze false. Una credenza non è altro che una rappresentazione che non necessita di raffrontarsi col mondo per essere vera. Per esempio, l’affermazione “io credo che John  Biden non abbia vinto le elezioni Americane del 2020", è vera (se la persona in questione lo crede veramente), indipendentemente dalla verità dello stato del mondo corrispondente.

 

In altre parole, comprendere che gli stati mentali altrui possono essere diversi dai nostri, o anche divergenti della realtà, non è una capacità scontata.

 

I bambini ad esempio sono notoriamente autoreferenziali quando pensano agli altri, e tendono ad attribuire le loro stesse conoscenze o credenze anche a chi non le possiede. Tuttavia, studi sullo sviluppo della cognizione sociale nell’infanzia suggeriscono che tutti i bambini (purché non siano affetti da autismo) imparano ad attribuire credenze agli altri più o meno alla stessa età, indipendentemente dal luogo e dal contesto in cui crescono (Wellman, Cross e Watson, 2001, per una meta-analisi).

 

E’' come se il nostro cervello seguisse una linea d’apprendimento predeterminata (come l’alzarsi in piedi o parlare).

 

Attribuire credenze agli altri o sapersi mettere nei loro panni, cioè avere una “teoria della mente” (come dicono gli esperti del settore), può essere difficile anche nell’età adulta. Sembra infatti che anche da adulti, si mantenga una traccia di quell'ancestrale autoreferenzialità che ci porta a sovrastimare quanto gli altri condividano le nostre credenze (Mullen et al., 1985 per una meta-analisi).

 

Tale incapacità potrebbe condurre a decisioni infruttuose in tutti quegli ambiti, come quello dell'economia e della finanza, in cui l’esito delle nostre scelte dipende fortemente da quello che faranno gli altri, una condizione che si presenta in quasi tutte le attività che prevedono una relazione ad esempio gli acquisti, le semplici riunioni, sui mercati finanziari nel prendere posizione o nei rapporti di natura commerciale.

 

 

Una ulteriore scoperta suggerisce che la parte più ventrale della mPFC è maggiormente attiva quando pensiamo ad altri più “vicini” o “simili “ a noi, mentre la parte dorsale è maggiormente attiva quando si pensa a persone più distanti, come degli sconosciuti. In uno studio negli USA (Mitchell, Macrae, & Banaji, 2006), è stato chiesto ad un gruppo di partecipanti di rispondere ad una serie di domande su sé stessi, su delle persone simili a loro (in termini di orientamento socio-politico), e su delle persone dissimili.

 

Lo studio ha rilevato  che la vmPFC era attiva quando i partecipanti rispondevano per sé stessi e per le persone simili, mentre la componente dorsale della mPFC (la “dmPFC”) era attiva quando si rispondeva per le persone dissimili. Gli studiosi conclusero che probabilmente utilizziamo le stesse risorse neurali e cognitive per pensare a noi stessi e a persone più simili a noi, ma non per le persone diverse da noi.

 

l'mPFC ventrale può essere particolarmente coinvolto quando i percettori fanno inferenze sugli aspetti affettivi degli stati mentali di un'altra persona (p. es., sentimenti, desideri e motivazioni), mentre l'mPFC dorsale sottomette inferenze sia su affettivi che su “freddo", stati mentali cognitivi, come credenze e conoscenze. 

 

Naturalmente, è probabile che gli obiettivi percepiti come molto simili a se stessi differiscano da altri dissimili in molti altri modi importanti, sappiamo da tempo che gli oggetti familiari vengono valutati più positivamente di quelli nuovi, un effetto che si estende ad altre persone, come sopravvalutare la nostra opinione e ricercare opinioni simili alle nostre.

 

 

la somiglianza percepita tra sé e l'altro è rilevante solo quando si formulano giudizi socio-cognitivi sugli stati mentali di un altro, estendendo le implicazioni alla manipolazione delle opinioni politiche degli obiettivi specificando il modo in cui i percettori si consideravano simili o dissimili da ciascun obiettivo.

 

Il modello è coerente con l'idea che le mPFC ventrali e dorsali sono differenzialmente sensibili alla somiglianza percepita tra se stessi e l'obiettivo della mentalizzazione, rispetto alle differenze nella valutazione positiva e negativa degli obiettivi, tuttavia la stretta relazione tra la somiglianza di un target e la positività provata rimane una sfida significativa in questo ambito di ricerca.

 

La potenziale rilevanza di queste osservazioni è nel comprendere la natura degli stereotipi e dei pregiudizi dell'outgroup (gruppo con il quale non ci si identifica)­­­­­­. Alcune ricerche di psicologia sociale suggeriscono che i percettori tendono a "infraumanizzare" i membri di altri gruppi dimostrandosi riluttanti a riconoscere determinati stati mentali di ordine superiore, come le emozioni di secondo ordine di amore e colpa.

 

Nella misura in cui i membri di un gruppo sociale diverso dal proprio sono visti come dissimili da se stessi, i percettori possono attivare un diverso insieme di processi socio-cognitivi, considerando gli stati mentali di qualcuno di razza o etnia diversa rispetto a un membro del proprio ingroup (gruppo nel quale ci si identifica). 

 

In quanto tale, il pregiudizio può sorgere in parte perché i percettori presumono che gli stati mentali dei membri dell'outgroup non corrispondano ai loro e, di conseguenza, mentalizzano in modo non autoreferenziale le menti di persone di gruppi diversi. 

Senza una base autoreferenziale per mentalizzare i membri dell'outgroup, i percettori possono fare molto affidamento sui pre-giudizi, come gli stereotipi, per fare inferenze sullo stato mentale su altri molto dissimili.

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